Corte d’Appello di Perugia 2 maggio 2019 Sent. n. 89 – Sezione Lavoro – Pres. Dott.ssa Alessandra Angeleri

Quanto liquidato dalla compagnia assicurativa del datore di lavoro al dipendente danneggiato consiste in un’indennità spettantegli sulla base delle condizioni di una polizza infortuni stipulata a favore di terzi (i dipendenti), non trattandosi dunque di una somma a titolo di risarcimento del danno. La diversità dei due titoli ora richiamati (responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. e patti previsti dalla polizza) comporta la mancata instaurazione di una responsabilità solidale tra assicuratore e datore di lavoro, nonchè l’inefficace attuazione dell’art. 1304 c.c.: ciò determina che sul datore continui a gravare l’obbligo di risarcire al lavoratore l’eventuale danno differenziale permasto.

Il caso

Il processo giuridico trae origine da un ricorso depositato nel febbraio 2011 da un lavoratore rappresentato e difeso dall’ avvocato Paolo Crescimbeni,  nel quale viene citato il datore di lavoro, X s.p.a dinanzi al Tribunale di Terni: l’istante punta ad ottenere il risarcimento del danno differenziale conseguente ad infortunio avvenuto sul posto di lavoro; il ricorrente, in qualità di capoturno, nell’espletamento delle mansioni di controllo degli operai addetti al reparto di laminazione, a seguito di una scivolata su un gradino reso sdrucciolevole per la presenza di macchie dell’olio impiegato nei processi di lavoro, riportava infatti un trauma alla spalla destra.

Con sentenza di primo grado, il giudice rigettava il ricorso condannando il lavoratore a rifondere le spese processuali: tale decisione presupponeva che il ricorrente, tramite l’accettazione dell’indennizzo liquidatogli dalla Y (assicurazione del datore di lavoro), avesse contestualmente sottoscritto una transazione efficace anche nei confronti della società resistente, in quanto, sulla scorta della CTU espletata in corso di giudizio, ed applicando alla fattispecie i criteri dettati dal d.m. 19 luglio 2016 per il calcolo del danno biologico di lieve entità, il danno biologico liquidabile era quantificabile in una somma inferiore rispetto a quanto già ottenuto dal ricorrente dalla compagnia assicurativa.

Il lavoratore propone appello chiedendo che la sentenza di primo grado venga integralmente riformata: quest’ultimo si duole dell’errata applicazione, alla fattispecie in esame, delle tabelle c.d. “micro-permanenti”, riguardanti i criteri di liquidazione previsti per i soli sinistri stradali dall’art. 139 del d.Lgs. 209/2005 quando, invero, si sarebbero dovuti applicare, come più volte stabilito dalla S.C., i parametri di valutazione elaborati presso il Tribunale di Milano, dai quali sarebbe emerso un valore del danno più alto rispetto a quanto ottenuto per mezzo della transazione. L’appellante asserisce in aggiunta che quanto liquidato dalla compagnia assicurativa consiste in un’indennità spettantegli in base alle condizioni della polizza infortuni stipulata dal datore di lavoro a favore di terzi (i dipendenti), non  quindi in una somma a titolo di risarcimento del danno, con la conseguenza che, stante la diversità dei titoli (da un lato responsabilità ex art. 2087 c.c., dall’altro i patti della polizza), non vi è responsabilità solidale tra assicuratore e datore di lavoro, nè tantomeno la possibilità di applicare l’art. 1304 c.c.

Confermate le mansioni dell’appellante come capoturno nel settore laminazione, ed accertato tramite prova testimoniale la dinamica dell’incidente accorso all’astante, la Corte d’Appello ha dichiarato sussistente la responsabilità del datore di lavoro nella determinazione dell’evento lesivo; suddetta  responsabilità deriva dalla normativa che impone all’imprenditore di adottare, nell’esercizio dell’attività, tutti gli accorgimenti tecnici necessari al fine di tutelare l’integrità fisica del lavoratore: in primo luogo l’art. 2087 c.c. statuisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”; inoltre, nel caso di specie, sempre a giudizio della Corte d’Appello, il datore di lavoro ha violato anche la normativa speciale, integrativa del precetto di cui all’art. 2087 c.c., ossia la normativa di cui agli artt. 63 e 64 del D.lgs 81/2008 descrittiva dei requisiti e delle particolari cautele che devono essere adottate in relazione alla specifica attività posta in essere dal lavoratore. La normativa soprariportata statuisce appositi accorgimenti circa la tenuta dei pavimenti sul luogo di lavoro; sul punto, parte appellata non ha fornito la prova sulla stessa gravante, ossia di aver rispettato le norme specificatamente stabilite al fine di garantire la sicurezza dell’attività lavorativa svolta, nonchè di aver adottato ex art. 2087 c.c. tutte le misure che erano necessarie al fine di tutelare l’integrità del lavoratore.

I postumi dell’incidente hanno determinato alcune ripercussioni negative sulle ordinarie abitudini di vita della persona, in quanto, come è emerso dalle prove testimoniali espletate in primo grado, a seguito dell’infortunio, l’appellante ha riscontrato ad esempio problematiche nell’impugnare  il fucile da caccia ed ha smesso di dedicarsi a molte altre attività ludiche quali moto, tennis e palestra.

Venendo dunque alla determinazione del danno risarcibile, occore premettere che il ricorrente ha già percepito, a titolo di danno biologico per l’infortunio per cui è in causa, una somma dall’INAIL, nonchè un ulteriore indennizzo erogato dalla Y in base alle condizioni della polizza stipulata con il datore di lavoro: si pone la problematica del c.d. danno differenziale dunque, avendo X Spa eccepito l’esonero da responsabilità civile ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 10 del TU n. 1124/1965 e 13 del d.lgs n. 38/2000.

La decisione

La Corte d’Appello di Perugia con la sentenza in esame, riforma il precedente decisum del Tribunale di Terni (sent. n. 173/2017), ed accerta la responsabilità del datore di lavoro (nella fattispecie X S.p.a.) per l’infortunio occorso ad un propro dipendente all’interno del reparto di laminazione. L’appello viene considerato fondato in quanto non può sostenersi in primo luogo la natura transattiva o abdicativa della quietanza di indennizzo sottoscritta dall’appellante nel 2010, con la quale il predetto avrebbe accettato il pagamento della somma di denaro ricevuta dalla compagnia Y”quale indennità liquidata in base alle condizioni generali e particolari della polizza stipulata con il datore di lavoro”; si tratta di un indennizzo liquidato sulla base di un contratto a favore di un terzo e quindi non di un’assicurazione sulla responsabilità civile, non avendo la compagnia assunto l’obbligo di manlevare l’assicurato di quanto quest’ultimo fosse chiamato a risarcire per gli infortuni dei propri dipendenti, nè sussistendo responsabilità solidale tra un datore di lavoro assicurato e la compagnia, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1304 c.c.

In definitiva, l’accettazione della somma in questione non preclude al lavoratore l’azione nei confronti del responsabile civile al fine di ottenere il risarcimento dell’eventuale danno differenziale derivante dall’infortunio per cui è in causa.

Trattandosi di richieste che vertono unicamente sul tema del danno non patrimoniale (in particolare il danno biologico), ai fini della determinazione del danno risarcibile occorre far riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano,  come più volte stabilito dalla Suprema Corte.

Sulla base di quanto premesso, lo Studio Crescimbeni Lavari è riuscito a veder riformare la sentenza di primo grado; la Corte d’Appello dichiara X Spa responsabile dell’infortunio di cui è vittima l’appellante, dunque condanna la stessa al risarcimento dei danni differenziali, aggiungendo le spese del doppio grado di giudizio.

Precedenti

Cass. n. 12408/2011, cass. sez. L. n. 14468/2017, Cass. sez. L. n. 27127/2013, Cass. sent. n. 9166/2017, Cass. sez. L. n. 4972/2018, Cass. sent. n. 1579/2000, Cass. sent. n. 12808/2011